Anonimo – Dopo tanti anni racconto la mia esperienza di bullismo

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Premetto che è la prima volta che metto nero su bianco la mia personale esperienza, e quindi mi
muoverò forse in modo goffo, teso tra volontà di essere il più chiaro possibile e un naturale
prevedibile senso di pudore che caratterizza il tema di cui tratto. Ho 62 anni, abbastanza realizzato
affettivamente e professionalmente.
Dico subito che ho avuto un’infanzia felicissima, sono stato da subito libero di esprimersi come
volevo, fin da bambino facevo dichiarazioni deliranti, ho subito amato la musica, il teatro, le
bambole di mia sorella che vestivo e travestivo, i vestiti da sera della mamma e della nonna, il
luccichio dei cristalli, le tende, le piume. La mamma sotto la rassicurante frase di “mio figlio è un
artista”, aveva trovato il salvacondotto per definire questa creatura amata e divertente.
Così sono cresciuto fra il “permesso di vestirmi con i suoi vestiti”, cantare le opere e di recitare e far
recitare i miei amici di classe al gioco “facciamo la commedia”. Inizio lo studio del pianoforte e
vado costantemente a teatro a vedere le opere che mi riempiono il cuore e la fantasia. Curiosamente
asilo ed elementari filano lisce, per me l’anormale è una regola. Alle medie insomma comincio ad
avere sinistri sentori che qualcosa non è come per gli altri, sono religiosissimo a quell’epoca, tutte le
domeniche a messa, ambisco fare il chierichetto, seguo il rosario,adoro tutto ciò, il mistico e
l’erotico vanno di pari passo.
Il brusco risveglio avviene al ginnasio a Napoli dove per motivi di famiglia ci trasferiamo, ho 14
anni, e li ecco che in classe avverto un crescente disagio che si riflette soprattutto in sguardi ironici,
in sorrisi beffardi, in strane allusioni, ma che stanno dicendo? Io così amato sempre, circondato
sempre da musica e risate, cosa sto subendo piano piano ma inesorabilmente?
“Quello fa musica, quello va a teatro, a quello non gliene importa niente del calcio, quello non
preferisce la compagnia delle ragazze…. Quello è recchione”. Recchione non sapevo cosa volesse
significare, avevo vaga idea del termine “frocio” ma non lo avevo mai collegato a me stesso. Ed
ecco che inizia il calvario: in quel branco di rozzi compagni di classe però si distingue Gualtiero, il
principe assoluto della cattiveria, fra l altro un ragazzo di buona famiglia,con una bella vis polemica
in ambito politico, anche un bel ragazzo con due occhi di smeraldo, che decide di condannarmi
all’infelicità perpetua per i 3 anni di liceo: era diretto nei suoi insulti, ma anche a suo modo teatrale,
faceva appostamenti dietro angoli della classe o della scuola per urlarmi “RICCHIOOOO”
all’improvviso. Un episodio terrificante fu tornando a casa dove lui dal marciapiede opposto quindi
in mezzo alla stradea continuava a urlare in modo ossessivo “ricchiòòòò”, indicandomi ai passanti.
Un altro episodio indimenticabile fu quando, mentre stavo parlando con Salvatore, uno dei pochi
gentili compagni di classe sui i compiti da fare, arriva in mezzo alla conservazione dicendomi “tu
mi fai schifo, quelli come te mi fanno schifo”, senza possibilità da parte mia di difendermi, di
capire, di chiedere perché questo odio distruttivo. La raffinatezza di Gualtiero era prima rubarmi i
soldi dal cappotto, poi venirmi a chiedere 500 lire in prestito, al mio rifiuto,piccola fragile
autodifesa contro il suo odio, si allontanava con il solito “sei proprio un recchione di merda”, e poi
scoprivo che si era già servito nelle mie tasche. Tornavo a casa con la voglia di morire, di
annullarmi: è vero, aveva ragione lui, io sono il diverso, quindi il colpevole, colui che non merita né
di essere considerato, ne forse di vivere a questo punto, il recchione che deve vergognarsi di esistere
e ancora grazie se, almeno a livello fisico, lo graziano da botte e sputi. Maledire quel dio che amavo
tanto era ormai prassi, e comunque l’assioma “sono recchione, ed è colpa mia” era la condizione
interna con la quale dovevo convivere e lottare. Paradossalmente proprio la diversità mi ha
aiutato:avere una passione, il teatro, la musica, mi aiutava a fuggire dalla scuola, andare all’opera
mi dava felicità, la concentrazione nello studio del piano, mi obbligava con la mente ad essere
altrove, nello studio, nel mondo dei suoni: e a teatro faccio nuovi amici, nuove conoscenze, alcuni
di loro, caso strano, sono effeminati un po’ come me, e non ridono di me, non mi insultano per la
strada, amano le cantanti liriche e le piume dei loro vestiti.. Allora? Cosa sono io, cosa voglio e
soprattutto con chi mi confronto adesso? Assorbo odio la mattina a scuola, e il pomeriggio o la sera
condivido passioni e idolatrie.
Finalmente a 18 anni rientro a Roma dopo quest’incubo scolastico napoletano, mi innamoro di un
ragazzo che corrisponde ai miei sentimenti, anche lui vessato e bullizzato in classe, con più una
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famiglia retriva e omofobica: il rapporto è comunque disastroso, alla fine esausto dagli anni di
Napoli e da questa esperienza sentimentale distruttiva, arriva una bella chiacchierata/confessione
con la mamma: lei mi dice che lo sapeva da sempre che ero “diverso” dagli altri, la mamma mi
ribadiva ecumenicamente che mi voleva comunque bene, che voleva la mia felicità e che comunque
non dovevo vergognarmi di nulla, ho subito la solidarietà di mio fratello e mia sorella, mentre la
figura paterna su questo è distaccata e impaurita, ma non osa metter bocca, paura di “che dice ‘aaa
gggente?’”, strano ino uno stimato professionista, colto e fine intellettuale, non ha mai osato però
interporsi nelle mie scelte successive e di questo non posso che essergli grato.
Dopo la prima esperienza tragica a 20 anni l’amore della mia vita, l’uomo che avrebbe cambiato
tutto il mio modo di pensare, e che mi ha reso fiero di me stesso, la storia è durata due anni ma nel
cuore John resterà l’unica figura che mi abbia totalmente trasformato.
Ancora ho paura di parlare o incontrare Gualtiero, mi piacerebbe massacrarlo di pugni, o tirargli in
pubblico una torta in faccia come si fa coi pagliacci, lo ho visto un paio di volte giornalista in tv, e
mi accorgo al vederlo di tremare non di paura, ma di odio e rabbia, guardarlo che fa il democratico
e l’intellettuale, lui che mi ha rovinato e avvelenato l’esistenza è qualcosa che non riesco ancora a
sopportare, poi penso che la storia stessa nel suo corso mi abbia vendicato, quando mai si poteva
parlare di “il mio compagno, il mio partner, mio marito, la mia famiglia” negli anno ’70?
Quando mai esisteva la giornata contro il bullismo? Ora c’è per fortuna, c’è anche una legge
Cirinnà, ci sono le unioni civili, ci sono i centri dove puoi trovare difesa e ascolto, ma la legge
contro l’omofobia e ogni forma di razzismo va fatta il prima possibile, nella speranza che questo
tragico teatrino di politici rozzi si renda conto che è una legge che non può più essere rinviata, e le
pene siano severe. Non è una questione di vendetta, ma una questione di civiltà. La storia ha
travolto Gualtiero e il suo odio nei miei confronti.
Denunciate, parlate, confidatevi con chi ritenete degno di voi, non siete colpevoli DI NULLA.
Ho capito alcune cose:
1) Se hai una passione coltivala, è il tuo rifugio, il tuo porto subito, la tua certezza, il nido che
risponde alle tue domande e consola le tue lacrime.
2) La tua diversità è una ricchezza, un tesoro prezioso che devi coltivare.
3) Se ti confidi con qualcuno è perché reputi l’ascoltatore degno della tua fiducia, gli fai un
dono prezioso, lui è che deve sentirsi onorato della tua condivisione, parla subito con
qualcuno, non tenere dentro tutto, la tua diversità trasformala in qualcosa di unico, bello e
prezioso, è uno scrigno pieno di tesori, e pochi sono gli eletti che tu reputerai degni di
condividere con te questa ricchezza, non tutti sono alla tua altezza.
4) Siamo stati bullizzati per generazioni, non sei l’unico, benvenuto nel club, sii fiero di quello
che sei e se non piaci a qualcuno pazienza non si può piacere a tutti, ma quei pochi che ti
conosceranno non potranno fare a meno di te.
5) Rifuggi dalla parola “tolleranza”. Tu non devi essere “tollerato” in quanto diverso, ma
rispettato in quanto essere umano: rispetto, non tolleranza, è la parola devi usare come unica
arma contro la povertà di spirito e di intelletto che ci circonda.
6) La famiglia è un regno dove ci si ama e ci si rispetta, non importa se uomo e donna, donna e
donna, uomo e uomo: dove regna amore e rispetto, quella è “famiglia”.
Ho una figlia.
Sono nonno. “faccio l’opera” come avevo detto alla mamma quando avevo 4 anni.
Vivo da 18 anni con un compagno e siamo una famiglia allargata che vive nel rispetto di sé stessi e
degli altri.

 

editato da: Manuela Colombo

Last modified: 16 Marzo 2021