Cyberbullismo: «Perché togliere il cellulare non serve a niente»

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«Togliere il cellulare a un cyberbullo è
come togliere la parola a un maleducato: inutile e dannoso. È meglio
insegnargli a parlare in modo adeguato». Per lavoro, Mauro Cristoforetti combatte
i bulli. Referente sul tema dei nuovi media per Save the Children, da anni gira
le scuole italiane con gli 80 formatori della sua cooperativa E.d.i. per
educare i ragazzi all’uso responsabile delle nuove tecnologie.

E come altri esperti del settore, è scettico riguardo alle nuove norme in
discussione alla Camera per la lotta al bullismo. Norme che ora vengono
sollecitate anche dal Presidente del Senato Aldo Grasso, dopo il caso della 12enne
di Pordenone che ha tentato di suicidarsi
in seguito a presunti atti
persecutori.

LE NORME IN DISCUSSIONE
La nuova legge vorrebbe definire sempre più il «fenomeno» come un «crimine».
Tra le ipotesi, oltre al rafforzamento della prevenzione, c’è la creazione di
un reato specifico («Atti persecutori mediante strumenti telematici e
informatici») e un «Daspo» (il divieto di accesso allo stadio per i violenti)
sui telefonini e computer per chi si rende protagonista di atti del bullismo.

IL DASPO PER I TELEFONINI
Una misura per molti inutile. «Confiscare cellulari o computer penalizzerebbe
soltanto il ragazzo protagonista di atti di bullismo, privandolo di strumenti
utili per l’apprendimento scolastico e per la gestione delle relazioni», spiega
Mauro. «Il bullismo ha una radice sociale, non tecnologica. Come si può tentare
di migliorare le capacità relazionali di un ragazzo levandogli gli strumenti
per comunicare?».

I NUMERI
I numeri evidenziano un fenomeno sul quale vi è molta più attenzione rispetto
al passato. Secondo l’Istat, nel 2014 sono stati almeno 12 su 100 gli adolescenti
italiani che hanno subìto offese con soprannomi, parolacce e insulti una o più
volte al mese. 6 su 100 sono stati presi in giro per l’aspetto fisico o per il
modo di parlare. 5 su 100 hanno subìto pettegolezzi gravi e 4 sono stati
colpiti con spintoni, botte, calci e pugni.

LA VISIBILITA’ DI INTERNET
Al quadro si aggiunge l’utilizzo di internet e dei social network. Che, si badi
bene, non creano il fenomeno, ma possono renderlo più visibile e ridondante.
Mauro cita un esempio. «Se un bullo picchia un compagno in classe, sarà visto
dai 20 compagni. Se lo picchia e diffonde il video online, il pestaggio sarà
visto da centinaia, migliaia, a volte milioni di altre persone. La vittima
continuerà a sentirsi bullizzata nel tempo, indipendentemente dalla ripetizione
del fatto, ogni volta che una nuova persona guarderà quel video». La visione dell’atto
di bullismo è umiliante quanto l’atto stesso.

Last modified: 23 Settembre 2023